Descrizione
La storia della piana di Santa Caterina
A pochi passi dallo scalo aeroportuale, dalla ferrovia e dallo stagno di Santa Gilla, un grande pezzo di storia tenta di resistere al passare del tempo e alle pressioni di sviluppo che potrebbero minarne l’integrità e la futura visibilità e frequentazione.
Il sito in questione è quello della piana di Santa Caterina, anticamente chiamato villaggio di Semelia durante il periodo medioevale. Sito di grande importanza storica così come fortemente evidenziato dalle numerose tracce di emergenze archeologiche visibili semplicemente ad occhio nudo e zona strategica per la vicinissima presenza dello stagno, approdo facile e sicuro e fonte di ricchezza produttiva per la pesca e la raccolta del sale, la zona di Santa Caterina ha conosciuto frequentazioni fin dal periodo neolitico, testimoniate con evidenti emergenze anche nel periodo nuragico, in quello fenicio – punico e durante la dominazione romana nell’isola.
A pochi passi dalla Carales punica e poi romana la zona di Santa Caterina doveva costituire un punto strategico per i commerci e per le coltivazioni. In periodo romano così come testimoniato da alcune campagne di scavi condotte a metà del secolo scorso, nella zona dovevano essere state edificate le ville dei grandi potenti romani e un tempio di cui si sospetta l’esistenza visti i numerosi resti di conci calcarei, marmorei, colonne e tessere di mosaico documentate anche dalla tradizione orale degli ormai vecchi masesi che ricordano la zona prima dei numerosi saccheggi alla quale nel corso degli anni è stata esposta.
I numerosissimi ritrovamenti di cocci di ceramica fanno anche supporre la presenza di fabbriche per la lavorazione dell’argilla che veniva depositata a poca distanza dallo stagno dai torrenti che attraversano la pianura del campidano e cippi funerari e numerosi materiali epigrafici e di ornato architettonico nel territorio di Elmas portano a evidenziare come tutta la zona fosse in periodo romano molto frequentata e adibita nei suoi spazi anche ai riti dell’inumazione.
Dal primo villaggio di Semelia fino all’insediamento verso Elmas
La prima attestazione del villaggio di Semelia e della chiesa di Santa Caterina risale al 1095 ed è attestata da una bolla papale con cui Papa Urbano II° confermava i possessi dei monaci benedettini dell’ordine di San Vittore di Marsiglia nel giudicato cagliaritano. Il villaggio di Semelia in periodo giudicale si trovava a pochi passi dalla capitale del giudicato di Caller, che si estendeva dall’attuale Viale Trieste fino alle rive dello stagno di Santa Gilla. Cosicché Semelia doveva costituire quasi una sorta di frazione della Cagliari di allora. Costituita da pochi agglomerati di case con relative pertinenze di terre, servi e animali venne concessa ai monaci vittorini che per tutto il medioevo se ne occuparono sfruttando la terra per la coltivazione degli olivi e lo stagno per la pesca e per la raccolta del sale.
La chiesa di Santa Caterina di Semelia faceva parte della lunga catena di chiese di proprietà dei vittorini lungo tutto il litorale del golfo di Cagliari. Basti pensare alla chiesa di Sant’Efisio di Nora e alla chiesa di Sant’Elia presso l’omonimo promontorio. Nella prima metà del XII secolo erano nelle mani dei Vittorini vaste proprietà dell’attuale provincia di Cagliari: nel Campidano (Cagliari, Decimoputzu, Elmas, Maracalagonis, Monserrato, Pirri, Quartucciu, Quartu Sant’Elena, Serramanna, Sinnai, Uta, Vallermosa, Villacidro, Villasor, Villaspeciosa), nel Parteolla (Ussana), nel Sulcis-Iglesiente (Pula, Sant’Antioco, San Giovanni Suergiu, Siliqua, Villamassargia), nella Trexenta (Gesico, Selegas). Qualche altro possedimento era in Provincia di Nuoro, a Posada; alcuni infine nella Provincia di Sassari.
Il villaggio di Semelia durante la proprietà dei vittorini era un villaggio produttivo soprattutto per l’approvvigionamento del sale. I monaci dell’ordine di San Vittore di Marsiglia si erano infatti sempre distinti per la loro grande abilità nei commerci. La produzione e la vendita del sale erano attività solitamente esercitate dai monaci Vittorini che anche nella regione marsigliese possedevano numerose saline: in Sardegna riuscirono a rendere produttiva l’industria del sale, alimentando un’attività commerciale con la Francia meridionale e favorendo l’apertura di empori da parte della classe mercantile della Provenza. Cosa questa che disturbava i pisani che proprio nel 1266 riuscirono a portar via il monopolio del sale dalle mani dei Vittorini. Pian piano i monaci dell’ordine, con l’espropriazione prima da parte dei pisani, poi da parte degli aragonesi di numerosi possedimenti nel territorio cagliaritano e del controllo delle saline, abbandonarono l’isola e nello specifico la proprietà di Semelia e la chiesa di Santa Caterina passarono nel XIV° secolo alla mensa arcivescovile di Cagliari.
In un documento del 1365 che riguarda Semelia e la mensa arcivescovile, è possibile evincere i confini del villaggio che si spingeva fino all’attuale zona della “marina” di Cagliari. Intorno alla metà del ‘300 il villaggio di Semelia doveva essere abitato da una quarantina di persone, non poche per quel periodo in cui aveva fatto in Sardegna per la prima volta la sua comparsa, la peste. Ma pian piano il centro e il fulcro della vita di Semelia venne meno tanto che l’ultima classificazione della chiesa di Santa Caterina con la definizione di parrocchia risale al 1524. Cosa che fa supporre ad un piccolo nucleo di popolazione che era ancora presente nella zona. Ma è il 1528 l’anno certo del suo definitivo spopolamento, documentato dalla donazione fatta dall’imperatore Carlo V° a Isabella di Sanjust dei territori di Villa del Mas, popolata, e di Semelia e Moguru indicati come spopolati. La chiesa di Santa Caterina venne così affidata ad un monaco eremitano così come risulta da un’epigrafe situata in un’ acquasantiera all’interno della chiesa.
Semelia finiva così la sua esistenza di centro abitato e i suoi abitanti si spostarono verso l’interno. In quelle che una volta erano le campagne coltivate della villa di Semelia: Su Masu. Numerosi studiosi nel corso dell’ultimo secolo hanno tentato di dare una spiegazione del toponimo del nostro paese attraverso l’analisi di diversi documenti e di testimonianze in tal senso. La tesi più valida e convincente finora formulata è quella di Francesco Alziator secondo cui Elmas, forma spagnola di su
Masu, può indicare un insediamento successivo a Semelia in primis, perché il toponimo sembra derivare dalla voce latino medievale mansum. Inoltre perché la voce mansum ha tra i vari significati anche quello di “minimo complesso patrimoniale necessario alla vita di un dato ente ecclesiastico.
E’ quindi possibile che Su Masu sia da porre in stretto rapporto con il centro vittorino di Santa Caterina, nel senso che fosse il mansum di quella comunità. Le terre su cui si formerà il villaggio di Elmas costituivano un’unità prediale di superficie determinata, cioè con parola latina medievale, un Maso o Masu in sardo. Il Maso era una dipendenza della Domus di Semelia (domus= agglomerato di case rurali da cui dipendevano porzioni di terre messe a colture di cereali o adibite a pascolo). Per un po’ di tempo, i due centri di Semelia e Su Masu, coesistettero.
Questo fino al XVI secolo, in quanto tutti i documenti posteriori al 1524 definiscono Semelia spopolata. Per cui si potrebbe concludere che prima Su Masu era solo campagna, poi con la perdita d’importanza del centro urbano di Semelia a causa di diversi fattori divenne Villa centrale e primo centro abitato della zona. Gli abitanti di Semelia andarono dunque ad insediare quelle che una volta erano le campagne della villa fondandoci un villaggio che continuarono a chiamare Masu. Con la dominazione aragonese – spagnola il termine venne modificato in El Mas termine prettamente catalano.
La chiesa di Santa Caterina
La Chiesa di Santa Caterina di Semelia in territorio di Elmas si trova nell’entro terra dello stagno di Santa Gilla. Proprietà dei monaci benedettini dell’ordine di San Vittore di Marsiglia, edificata intorno all’XI secolo è testimoniata per la prima volta in una bolla papale del 1095 con cui Papa Urbano II confermava i possessi dei Vittorini nel giudicato cagliaritano. Situata dietro la zona dell’attuale aeroporto, e a pochi passi dalla linea ferroviaria, rimane unica testimonianza visibile del primo insediamento nel territorio masese durante l’età dei giudicati.
La chiesa di Santa Caterina è inserita al centro di un grande casolare con un vastissimo cortile attorno al quale si ritrovano gli esempi di quelli che dovevano essere gli alloggi dei monaci Vittorini, divenuti poi “cumbessias” ( locali attigui alla chiesa) per accogliere i pellegrini durante le feste. La chiesa è ad impianto mononavato, con in facciata campanile a vela di recente rifacimento e finestra rettangolare sopra il portale unica fonte di luce per l’interno. Era originariamente costituita da una copertura lignea a capriata considerata la totale assenza di ammorsature degli archi doubleaux che potrebbero far supporre ad una copertura con volta a botte. Per l’edificazione della chiesa romanica, in muratura eterogenea sono stati utilizzati conci risalenti al periodo romano di cui si rileva testimonianza anche nell’ingresso del portale e nel lato esterno destro della chiesa. Dell’impianto originale della chiesa si conserva l’abside di proporzioni ampie e basse che, anche se molto rimaneggiato, doveva essere costituito da una copertura a falda di cono con travi opportunamente disposte. Anche la soglia d’ingresso e il pavimento sono risalenti al primo impianto. Accanto al portale, nella parete destra della facciata, internamente , si apre una piccola nicchia ad arco a ogiva fatta in arenaria di recente individuazione che era stata murata e dove è stata recuperata una statua lignea della Madonna Immacolata, risalente ad una data di incerta interpretazione. Nella parete longitudinale sinistra della chiesa si può osservare un oculo aperto, a mezza altezza rivolto verso la costruzione che affianca la chiesa e che al tempo dei vittorini doveva costituire l’ossario. Sempre nella stessa parete molto rimaneggiata, si osserva l’inserimento di un pezzo di capitello di epoca romana. Dietro l’abside sono state riscontrate tracce delle fondamenta della chiesa primitiva. Tutto intorno alla struttura sono presenti testimonianze di epoca romana. Capitelli corinzi, basi e frammenti di colonne. L’attuale copertura lignea è frutto di un intervento di ristrutturazione dell’edificio avvenuto nei primi anni ’90.
Il motivo dell’intitolazione della chiesa
Ogni chiesa viene intitolata ad un determinato santo in base a motivazioni ben precise. Nel caso della chiesa di Santa Caterina di Semelia poche sono le certezze sulla motivazione della sua intitolazione mentre la leggenda aiuta in soccorso quel che la storia e i documenti non hanno mai chiarito.
Si tratta di una storia molto curiosa legata nei suoi eventi e nella sua vicenda alla storia della chiesa di Nostra Signora di Bonaria di Cagliari tramandata nella tradizione orale dei vecchi del paese. Pare che i monaci vittorini, fossero presenti già nel sito di Santa Caterina prima del 1095, (anno di cui si ha la prima attestazione scritta della presenza della chiesa di Santa Caterina) con il convento e che fossero proprietari di tutta la zona circostante. Vivevano di agricoltura, pesca e commercio del sale. Per il commercio del sale si avvalevano della collaborazione di pescatori che abitavano nei centri vicini.
Secondo la leggenda, un giorno alcuni pescatori impegnati nello stagno, che lavoravano al servizio dei monaci, videro una cassa di legno semisommersa dall’acqua. La portarono a riva e la aprirono. All’interno vi trovarono una statuetta in corallo di Santa Caterina. Nella storia di quel periodo, sono stati attestati molti eventi simili a questo relativi a ritrovamenti di statue di santi all’interno di casse di legno trovate in mare. Secondo le fonti era un’usanza tipica degli spagnoli che erano soliti gettare in mare le casse in legno con all’interno simulacri di santi per sedare il mare in tempesta. Da allora si decise, sempre secondo la leggenda, di intitolare la chiesa già esistente alla Santa il cui simulacro era così misteriosamente arrivato dal mare. Simulacro che nei primi del ‘900 venne però venduto da uno dei tanti proprietari della chiesa che si sono avvicendati nel precedente secolo.
La festa di Santa Caterina
Santa Caterina d’Alessandria viene festeggiata ad Elmas il lunedì di Pentecoste in conformità con l’antica tradizione di cui si parla in numerosi documenti. I festeggiamenti in suo onore sono itineranti in un percorso che si snoda dalla parrocchiale del paese di San Sebastiano, fino alla chiesetta campestre di Santa Caterina. La festa ha la durata di tre giorni e riti sacri e profani accompagnano le giornate in onore della santa vergine e martire.
I riti sacri
I riti iniziano la sera della domenica di Pentecoste con una cerimonia durante la quale viene consegnata la bandiera di Santa Caterina al nuovo presidente del comitato che assume la carica per quel determinato anno. Si procede poi con la vestizione della Santa e il simulacro accompagnato dai devoti inizia il suo percorso nelle vie storiche del paese fino all’arrivo nella chiesa campestre dove viene celebrata una Santa Messa. Il lunedì di Pentecoste è il vero e proprio giorno della festa. Al mattino viene celebrata una messa solenne dedicata quasi esclusivamente ai malati e agli anziani del paese. Nel primo pomeriggio il simulacro della Santa viene portato in processione nei campi attigui alla chiesetta in un lento e ritmico incalzare di canti e suoni di launeddas. Rito di origine antichissima vede la sua motivazione nella augurale benedizione e quindi prosperità dei campi e dei raccolti. A tarda sera il simulacro della Santa accompagnato dai fedeli, dai gruppi folk e dalla banda del paese compie il processo inverso. Lascia la chiesa di campagna per tornare in processione verso la parrocchiale del paese. Nella giornata di martedì, giorno conclusivo della festa viene officiata una solenne celebrazione eucaristica con panegirico in onore della Santa e con una processione per le vie del paese si concludono i riti sacri.
I riti profani
I festeggiamenti civili si svolgono la sera della domenica presso la chiesa campestre con una degustazione di prodotti tipici, esibizione dei gruppi folk del paese, mentre negli altri due giorni di festeggiamenti, la storica piazza Suella diventa protagonista dei riti profani.
Il motore della festa
Il motore della festa è il Comitato Associativo si Santa Caterina che si occupa ogni anno dell’organizzazione della festa. Costituitosi nel 2000 si occupa di presiedere ai festeggiamenti civili e religiosi in onore di Santa Caterina d’Alessandria cercando di preservare, curare, valorizzare e far conoscere le tradizioni legate a questa festa. Provvede alla vestizione del simulacro della santa e all’ornamento delle strade del paese e all’abbellimento della chiesa campestre per i giorni della festa. All’interno possiede una sua struttura organizzativa, con un presidente che rimane in carica per un anno e viene rieletto l’anno successivo. Un vicepresidente, un economo o cassiere e un “andadori” cioè colui che si occupa di raccogliere le offerte per il buon svolgimento della festa.